2016 – Modelli di camere aleatorie – Democrazia

Modelli di camere aleatorie

Io mi occuperò qui dei modelli che sono stati ideati per attuare un qualche tipo di democrazia partecipativa attraverso camere aleatorie, cioè a sorteggio.

Abbiamo visto alcuni esempi applicati dell’esperienza politica del sorteggio: avrete notato quanto poco l’opinione pubblica le conosca, grazie soprattutto al fatto che per i media non hanno molto interesse a renderne conto perché queste istituzioni non creano personaggi litigiosi, insultanti, interessanti per i talk show e quindi sono poco appetibili per loro.

In realtà non si ha informazione, se non ad un ristretto gruppo di addetti ai lavori, anche sul fatto che c’è ormai una ricca bibliografia sull’argomento e che sono numerosi gli studiosi di formazione, di provenienza geografica e di impostazione diversa che hanno progettato forme di democrazia partecipativa per sorteggio.

 

E comunque, di primo acchito, si tende a rifiutarli: come dice il filosofo belga Philippe van Parijs “la loro missione è quella di avere ragione troppo presto”.

A dimostrazione di ciò sì pensi per esempio al ridicolo suscitato nel XIX secolo da chi si batteva per il voto alle donne.

 

Ora fra i molti studiosi che hanno prospettato complessivamente una ventina di possibili scenari applicativi Reybrouk ne illustra cinque :

 

Gli statunitensi, Ernest Callenbach e Michael Phillips, già nel 1985 avevano proposto di trasformare la Camera dei Rappresentanti da elettiva ad aleatoria, con 450 membri, per la durata di 3 anni sostituiti a scaglioni un terzo ogni anno.

Prerogativa di questa camera sarebbe di proporre le leggi al Senato e esaminare a sua volta le proposte del Senato.

Per capire chi sono questi due personaggi, si deve sapere che Callenbach ha venduto coi suoi libri di argomento politico milioni di copie e molte sue idee sono ormai normalmente accettate e condivise, mentre Michael Phillips è un banchiere che negli anni ‘60 è stato uno dei padri della Mastercard.

 

In Gran Bretagna due giornalisti, Anthony Barnett e Peter Carty, intellettuali progressisti che scrivono, fra l’altro, sul The Guardian, l’ Independent e il Financial Times, propongono di sostituire la Camera dei Lord, a cui ora si ha accesso per eredità familiare, con una camera a sorteggio non con la prerogativa di legiferare, ma di valutare la chiarezza, l’efficacia, la costituzionalità delle leggi emanate dalla Camera dei Comuni.

 

 

A dimostrazione della trasversalità di queste idee, Reybrouk riporta il progetto di un ricercatore di orientamento conservatore, dell’Università di Exeter,

Keth Sutherland che propone l’opposto, cioè sostituire la Camera dei Comuni con una camera a sorteggio, i cui membri avrebbero diritto a un compenso, la cui composizione sarebbe costituita da membri con più di 40 anni (perché i giovani comunque sarebbero già assecondati a sufficienza dai media, secondo Sutherland).

Questa camera avrebbe solo funzione di controllo sulle leggi emanate dalla Camera dei Lord che rimarrebbe in funzione.

 

In Francia il politologo Yves Sintomer propone invece l’aggiunta di una terza camera, composta da persone estratte entro un gruppo di volontari remunerati, aiutati da collaboratori, con la funzione di proporre leggi su argomenti per così dire “a lungo termine” che, come abbiamo visto, rischiano di essere trascurate dai politici a causa delle pressioni esercitate dalla propaganda in vista delle elezioni. Si parla ad esempio di ambiente, società, aggiornamenti della Costituzione eccetera.

 

In Germania il professore di università Hubertus Buchstein propone un progetto di respiro europeo: una camera di 200 membri, sorteggiati su tutta la popolazione adulta della Unione Europea con sistema proporzionale. In pratica una seconda camera del Parlamento europeo della durata di due anni e mezzo, con funzione legislativa e diritto di veto sulle scelte del parlamento eletto. La partecipazione dei cittadini sorteggiati sarebbe obbligatoria.

 

Per ragioni di tempo accenno soltanto al progetto molto ampio, minuzioso ed articolato dello studioso americano Terril Bouricius.

 

Bouricius si pone una serie di dubbi sul possibile funzionamento di una camera aleatoria, dubbi che potremmo del resto avere anche noi sentendo parlare per la prima volta di sorteggio in ambito politico.

Primo dubbio: quanti sorteggiati accetterebbero volentieri di lasciare il proprio lavoro o la propria residenza per un lungo periodo di tempo per partecipare ai lavori di una struttura politica?

Secondo dubbio: questi sorteggiati riuscirebbero a lavorare in maniera corretta secondo le regole ?

Terzo dubbio: certamente sarebbe un parlamento più legittimo, ma sarebbe anche efficace.

Il quarto dubbio lo aggiungerei io: quali costi dovrebbe affrontare lo stato per organizzare una o più strutture politiche aleatorie, per retribuire i membri sorteggiati, gli esperti ecc.? A questo però si può rispondere che anche adesso, con le Camere elettive, i costi politici sono alti.

 

In altre parole, come si può conciliare la teoria con la pratica?

In ogni caso secondo Reybrouk non ci si debbono fare illusioni perché nessun modello può ancora essere definito ideale: la democrazia dovrebbe essere considerata come un argilla plasmabile che dovrebbe adattarsi ai tempi. Quindi ogni proposta applicativa dovrebbe essere testata ed eventualmente (o, più probabilmente, modificata)

 

Bouricius ha studiato la democrazia ateniese notando che la sua efficacia consisteva nell’essere organizzata e strutturata con un sistema di pesi e contrappesi, secondo cui si affidano a organi diversi processi decisionali e azioni di controllo.

Lo studioso propone ben sei organismi aleatori tra cui suddividere il lavoro legislativo e di controllo:

 

  1. il Consiglio- agenda, da 150 a 400 membri che definisce temi e priorità dei lavori
  • il gruppo di interesse che propone leggi su dei temi che possano interessare determinati gruppi di cittadini
  • il gruppo di revisione che presenta proposte di legge sugli elementi forniti dal pannello di interessi
  • la giuria delle politiche composta da 400 membri vota le leggi con voto segreto
  • Il consiglio di disciplina che decide le regole per la legislazione
  • Il consiglio di sorveglianza che controlla il processo legislativo e gestisce eventuali reclami.

 

Comunque al di là di alcune variabili locali, nei vari progetti di strutture politiche a sorteggio si prospettano alcuni elementi comuni a tutti:

 

  • Il coinvolgimento di entità politiche molto grandi non di piccole polis
  • una remunerazione generosa, ma non esagerata, ai partecipanti
  • una durata limitata nel tempo
  • una formazione per i partecipanti
  • l’appoggio di specialisti ed esperti
  • la complementarità con un organo politico elettivo

 

Reybrouck non si nasconde che per avviare un progetto di camera aleatoria si presentano comunque alcuni dilemmi, perché occorre individuare e riuscire a cogliere:

 

  • La dimensione ideale dell’istituzione
  • La durata in carica ideale
  • Il metodo di selezione ideale su cui avviare il sorteggio
  • Il metodo di deliberazione
  • Le dinamiche di gruppo

 

Si parla di metodi e caratteristiche ideali, avendo ben chiaro, però, come si è già detto, che nessun modello può realmente essere considerato ideale e che la democrazia dovrebbe essere considerata un’argilla plasmabile ed in costante adattamento ai tempi ed alle esigenze.

 

Invece, per quanto riguarda le obiezioni che si fanno circa la serietà, la qualità della partecipazione, le competenze dei cittadini comuni, si possono dare risposte positive, perché già ora nei tribunali sono impiegate giurie popolari estratte a sorte e queste prendono molto seriamente il loro incarico.

Se le competenze politiche o giuridiche mancano ai comuni cittadini si debbono chiamare degli esperti (come si fa anche ora in aiuto ai politici) a guidare eventuali processi deliberativi.

Del resto, molte critiche che si fanno al sistema aleatorio sono le stesse che si facevano nel passato circa il voto ai cittadini di bassa condizione sociale o alle donne.

 

In ogni caso, la soluzione considerata da R. al momento più appropriata e cauta è la costituzione di un sistema birappresentativo, in cui coesisterebbero sia il modello elettivo, sia il modello aleatorio in due camere distinte, di cui una sarebbe una camera elettiva tradizionale.

 

 

Dove potrebbe cominciare ad applicare un metodo di democrazia partecipativa? Secondo Reybrouk il luogo ideale sarebbe uno stato europeo, perché l’Unione Europea fornirebbe comunque un riparo in caso di malfunzionamenti del sistema.

E, fra i vari paesi, il Belgio sembrerebbe il più adatto se si pensa alla stanchezza della sua democrazia e alla crisi politica per cui dopo le elezioni del 2010 sono accorsi 541 giorni per fare un governo.

Comunque basterebbe cominciare anche una sperimentazione su piccoli temi limitati, in cui però lo stato dovrebbe impegnarsi prima, decidendo e dichiarando che tipo di utilizzo intenderebbe fare delle eventuali deliberazioni.

 

Infine Quando avviare una sperimentazione? Subito, secondo Reybrouk, perché senza l’ introduzione di qualche forma di democrazia partecipativa sarebbe a rischio la democrazia stessa.

Come dice Reybrouk “dobbiamo democratizzare la democrazia al più presto”.