2017 – PROGETTO AFRICA

Europa chiama AFRICA chiama Europa

     Parliamo dell’Africa sub sahariana con 
    le africane e gli africani della diaspora

 

Progetto a cura dell’Associazione Donne per la Difesa della Società Civile 
con la collaborazione del Centro Piemontese di Studi Africani

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   Spesso si parla del Continente Africano come fosse una regione omogenea, ma in realtà, non lo è né per le caratteristiche geografiche né per la storia né per la cultura né per la situazione politica odierna.
Perché saperne di più ?
   Oggi siamo pressati dall’immigrazione Africana, che spesso viene considerata solo per gli aspetti economici ( ci conviene o meno ? ) e non per il dramma che ha alle spalle : paesi spesso devastati dalle guerre, dalle variazioni del clima, dalle epidemie, dal dispotismo e dalla corruzione, che spingono alla fuga i cervelli migliori, quelli che avrebbero le capacità per risollevare il loro paese se ve ne fosse la possibilità e che si trovano invece ospiti spesso indesiderati e marginalizzati in Europa.
   Solo la conoscenza dell’altro, che ha alla base la curiosità, può portarci al rispetto della diversità dell’uomo, superando tanto il razzismo nelle sue varie forme, quanto un superficiale “buonismo”, e può arricchirci tutti, disvelando similitudini e differenze.
   Pertanto tra marzo e ottobre 2017 proponiamo, a tutti i cittadini interessati, un ciclo sei conferenze sulla storia dell’Africa sub sahariana con l’intervento di personalità della diaspora in Piemonte, per apprendere e diffondere informazioni non solo rigorose, ma anche nell’ottica di chi in quel continente è nato e cresciuto. Una particolare attenzione sarà data alla storia delle donne del Continente, a cui dedicheremo in seguito un intero secondo ciclo tra ottobre e novembre. Ci auguriamo con questa iniziativa di contribuire a mettere un piccolo tassello relativamente alla conoscenza reciproca, al rispetto e alla convivenza.

PRIMO CICLO

   3 incontri pubblici con il dottor Ngandu Mukendi, relatore, e la dott.ssa Marie Jeanne Balagizi (che illustrerà, più in dettaglio, la situazione delle donne) per conoscere in modo più approfondito la realtà del continente africano e la storia che sta alle spalle di molti immigrati: detti incontri saranno svolti con la collaborazione del Centro Piemontese di Studi Africani e l’appoggio dell’Agenzia per lo Sviluppo di San Salvario e saranno da tenersi nei mesi di MARZO – APRILE 2017                                

  1. L’Africa sub sahariana nel periodo precoloniale ( economia, storia, cultura, ruolo delle donne ), 20 marzo, ore 17,00, sala del Tempio Valdese, c.so Vittorio 23
  2. L’Africa sub sahariana durante la colonizzazione ( economia, storia, cultura, ruolo delle donne), 1 aprile, ore 16,30, Casa del Quartiere, via Morgari 14
  3. L’Africa sub sahariana dopo la colonizzazione ( economia, storia, cultura, ruolo delle donne ), 12 aprile, ore 17,30 Casa del Quartiere, via Morgari 14

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      I RELATORI

         NGANDU MUKENDI, nativo della R.D.Congo, è laureato in Economia e Commercio all’Università degli studi di Torino.
Per una trentina di anni, è stato funzionario al Centro Internazionale di Formazione dell’OIL, di cui si è occupato tra l’altro di programmi di formazione in materie di lotta contro la povertà, creazione, gestione, sviluppo delle cooperative e di piccole e medie imprese per lo sviluppo locale in Africa Sub-sahariana.
Attualmente Ngandu Mukendi, nell’ambito della cooperazione internazionale, di aiuto allo sviluppo ed assistenza umanitaria, collabora con alcune ONG che operano in Africa.

           MARIE-JEANNE BALAGIZI SIFA, nata nel 1979 a Bukavu a l’Est della Rep. Dem. del Congo, al confine con il Rwanda, si è laureata in giurisprudenza all’università cattolica di Bukavu e ha lavorato in Congo come attivista di diritti umani (fondatrice dell’associazione Groupe Espoir Congo nel 2007, per la promozione dei diritti delle donne e bambini vittimi della guerra in Congo e l’assistenza dei carcerati nel carcere centrale di Bukavu). In italia dal 2009, continua a lavorare e a lottare per la promozione e la protezione dei diritti della donna africana.

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AFRICA – 1° INCONTRO – 20 MARZO 2017 

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L’intervento del dott. Ngandu Mukendi

                                                         L’ AFRICA SUBSAHARIANA PRECOLONIALE

(Breve relazione del primo incontro ” Europa chiama Africa chiama Europa ” avvenuto lunedì 20 marzo nel salone del Tempio Valdese.)
Il dott. Ngandu Mukendi ha offerto un ampio sguardo sull’ organizzazione economico sociale dell’Africa sub-sahariana precoloniale scegliendo un ottica storico-antropologica africana che si differenzia da visioni, ricostruzioni e analisi occidentali.
Partendo dal riferimento a una civiltà fondamentale e fondante, come quella degli Egizi (con le sue componenti Nubiane), è stato evidenziato il ruolo della famiglia, della sua struttura e delle sue differenze rispetto a quella che era la considerazione della stessa in Occidente. Si tratta di una famiglia inclusiva, nella quale i fratelli dei genitori sono padri, le sorelle sono mamme, e quindi i loro figli sono tutti fratelli. Il “capo” non comanda, ma coordina e indirizza, dopo aver ascoltato gli anziani saggi.
La nascita delle tribù, raccontato attraverso le ramificazioni famigliari e le relazioni dovute ai matrimoni, chiarisce, insieme all’uso della lingua bantu, che è alla base di tutte le lingue africane, anche in parte il fenomeno delle migrazioni interne, che ha poi in parte determinato, nel suo divenire, le attuali nazioni. Ugualmente fondante dell’uomo africano è stato il concetto di spiritualità legato in maniera imprescindibile alla natura e al convivere in maniera rispettosa con essa da parte dell’uomo.
Il rapporto con lo “straniero”, mai considerato come nemico ma come un ospite importante, ha creato un concetto di ospitalità determinante anche nelle relazioni e nei contatti con i popoli provenienti da altri continenti.

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L’intervento di Marie-Jeanne Balagizi

LA DONNA NELL’AFRICA SUBSAHARIANA
PERIODO PRECOLONIALE

 Introduzione

   La posizione della donna è stata a lungo oggetto di molti dibattiti nella nostra società detta moderna.
Quando si parla delle donne africane spesso si generalizza: donna bloccata, privata della sue libertà fondamentali, donna-martire in un’Africa esangue dove regnano miseria e violenza, donna senza istruzione…. Non si tratta di nascondere o negare questa triste realtà, ma di affermare che non è l’unica. Essa non deve farne dimenticare un’altra di cui raramente si parla: le azioni quotidiane di numerose donne dell’Africa sub sahariana che vedono i loro sforzi spesso poco o affatto riconosciuti, perché la loro stessa esistenza, l’esistenza di questa Africa positiva, è troppo spesso cancellata. La gente non si rende conto che l’Africa non è unicamente un luogo in cui regna la miseria, vi sono anche persone che hanno iniziative. Le donne intraprendenti necessitano di coraggio e sostegno. Evitare la trappola del pietismo è aiutare a mutare lo sguardo portato sulle donne africane e di conseguenza sul loro continente. Al di là della povertà e dell’ignoranza imposta, esiste un’altra realtà e, se vi è una cosa di cui le africane sicuramente non necessitano, è che ci si impietosisca unicamente sulla loro sorte. Hanno bisogno d aiuto e non di pietà.

   La donna africana prima della colonizzazione

Le attuali società africane, così come gli Stati, sono un puro prodotto della colonizzazione, attraverso cui l’Europa si spartisce l’Africa, fissando arbitrariamente le sue frontiere, creando nel contempo qualche aberrazione. Dei popoli che prima vivevano sullo stesso territorio, condividendo una storia comune, si ritrovano da un giorno all’altro separati. Altri, da sempre nemici, sono obbligati ad adattarsi a una difficile coabitazione. Qui non si tratta di processare il colonialismo, ma di evidenziare che esso ha avuto un’influenza sulla condizione della donna africana, e spesso non positiva. Anzi, di frequente, la tradizione le impediva di avere un ruolo decisionale non trascurabile, cosa che farà dire alla giornalista di origine camerunense Corine Mandjou(1) : “La condizione della donna africana, così come è stata sempre presentata dagli Occidentali, è un inganno. È falso dire che la donna africana è sottomessa, che non prende parte alle decisioni. Coloro che hanno scritto sull’Africa a partire dal XIX Secolo, erano figli di famiglie nobili, che portavano con sé i loro pregiudizi di classe. Avevano per interlocutori i capi villaggio e, siccome non vedevano le donne, ne deducevano che esse non avevano alcun potere. Ora, nelle società africane tradizionali, si chiede sempre il parere delle donne prima di prendere una decisione, anche se non parlano mai in pubblico. Inoltre, nella società africana tradizionale, la regina-madre e la prima sposa rivestono un ruolo politico cruciale”.
In effetti, spesso si ritiene che la donna africana non abbia alcun valore all’interno della famiglia; essa non è altro che una semplice domestica. Il posto della donna nel sistema tradizionale in Africa dipendeva per lo più dai paesi, dalle regioni, dagli usi etnicie dalla capacità individuale delle donne stesse. In realtà esse svolgevano un ruolo notevole: nessun uomo poteva, qualunque fosse il suo rango nella società, privarle di questo diritto. Come pure nel campo economico esse avevano più potere degli uomini, nella misura in cui esse disponevano di campi propri che permettevano loro di produrre e di accumulare allo stesso livello, e questo spettava loro direttamente.
Nella società tradizionale la donna non era inferiore all’uomo, era il suo uguale-complementare, simbolo della fertilità, custode della vita e della cultura; in effetti è essa che tramanda la cultura, a tal punto che in Congo si dice: “ Educare una figlia è educare tutta la nazione”.
Inoltre le donne detenevano dei poteri magistrali e controllavano organismi esclusivamente femminili dal carattere professionale e religioso, come le società più o meno segrete.
Lungi quindi dai pregiudizi di cui le società tradizionali sono oggetto, la società africana è costituita in modo tale che la donna svolgeva un ruolo preponderante malgrado il suo status di donna.

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L’intervento del dott. Ngandu Mukendi

                                                         L’ AFRICA SUBSAHARIANA – COLONIALISMO

   Colonialismo

   Cosa pensa un Africano della Colonizzazione?

   Già prima del 1898 gli Africani avevano contatti con altri popoli, per scambiarsi i prodotti. E’ il mercato. Si andava a cercare ciò che non si aveva e si scambiava. Gli Africani avevano già contatti con l’Oriente e con il MedioOriente. Anche le popolazioni islamiche cercavano prodotti ma anche di espandere la loro religione: quindi c’è il problema per gli Africani di come integrarsi con gli arabi.
I Portoghesi hanno iniziato a percorrere l’oceano Atlantico: prima fino al Marocco , dove hanno trovato i Berberi , che erano organizzati socialmente e economicamente, e poi fino alla Guinea, dove c’erano popoli africani molto organizzati. Commerciavano oltre alle materie prime e all’avorio, stuoie e stoffe. Questo mercato è durato per secoli.
Verso il 1600 gli europei hanno cambiato rotta, non potendo penetrare nel continente. Avendo scoperto l’America hanno avuto bisogno di gente che lavorasse quella terra. Così è iniziata la schiavitù, che è stata praticata per 3-4 secoli. La prima schiavitù è stata esercitata con gli arabi (soprattutto nel Kenia e nella Tanzania). Chi c’era dietro gli arabi? Il fatto è che loro sapevano già le lingue locali. E quindi sono stati sfruttati dagli europei per prendere gli schiavi. Utilizzando i dirigenti locali. Ribadisco che la parola guerra etimologicamente non esiste nella lingua africana: esiste conflitto, battaglia.
Ma, con l’aumento demografico della popolazione europea, bisognava cercare nuovi insediamenti. La terra più vicina all’Europa era l’Africa. I missionari e le compagnie commerciali sono le istituzioni che gli Europei hanno utilizzato per colonizzare i popoli Africani. La chiesa è stata molto importante e ha trovato il compito facile: poiché gli Africani avevano un profondo contatto con la natura, è stato semplice far passare che il loro Dio aveva creato tutta la natura. Anche gli Africani pensavano a un creatore, ma non conoscendolo comunicavano con esso attraverso gli antenati, uomini conosciuti. Il Voodu è il modo di comunicare con il creatore attraverso gli antenati: ma questo i missionari non potevano tollerarlo, e così gli Africani sono andati all’interno della foresta per praticare le loro usanze.
Così arriviamo alla Conferenza di Berlino, dove i popoli Europei si sono spartiti l’Africa (l’Inghilterra, la Germania, la Francia, Il Portogallo, il Belgio, la Spagna, l’Italai).
I primi navigatori sono stati gli italiani: Pigafetta ha avuto un ruolo importante in Congo. La Francia si è presa l’Africa occidentale, dal Mali al Senegal, all’attuale Ciad; l’ Inghilterra(che si era già presa tutta l’Australia) la Nigeria e il Gana. La Germania il Camerun, il Togo, la Tanzania, la Namibia. I portoghesi , che sono stati i primi esploratori, l’Angola, le isole di Capo Verde e di Sao Tomè, il Mozambico. C’era un modo diverso di intendere la colonizzazione. Per esempio, per l’Inghilterra erano terre in cui stanziarsi, e così anche per l’Olanda: Inghilterra e Olanda si scontrarono in SudAfrica per la supremazia.
La conferenza di Berlino nel 1884 fu organizzata da Leopoldo 2°, che finanziò i viaggi di Livingstone. Nessuna potenza si era insediata all’interno del continente e lui si prese il Congo, ricco di materie prime. Ma per fare la raccolta del caucciù, per sfruttare le risorse, bisognava far lavorare la popolazione, praticamente come schiavi. I nativi hanno fatto una grande resistenza, con scontri e morti. L’alleato fondamentale del re del Congo è stata la religione. Leopoldo 2° diceva che i Congolesi conoscevano Dio più degli Europei, e si poteva usare la religione per soggiogarli.
Cosa sarebbero gli Africani senza gli Europei?
C’è stato uno scambio, ma se si facesse un bilancio ?
Per poter sfruttare le risorse che l’Europa non ha, bisogna dominare le popolazioni locali. Per questo si sono usati i missionari, l’esercito e la pubblica amministrazione. L’Europa ha dato scuola e sanità: ma chi nutriva e curava gli Africani prima della colonizzazione europea? Chi nutriva milioni e milioni di Africani prima degli Europei? In Africa non c’era la tubercolosi, e nemmeno la malattia del sonno, di cui si è sentito tanto parlare, non c’era perché le aree in cui c’era la mosca tse tse che la causavano non erano abitate. Invece è appurato che gli Africani si curavano usando erbe di cui conoscevano le proprietà: per esempio con erbe curavano l’appendicite e con altre erbe rendevano il parto indolore.
Per quanto concerne la scuola: ci hanno insegnato a leggere e scrivere, ma siamo stati sradicati dalla nostra cultura, ci hanno tolto il culto degli antenati.
Non c’è stata una sola colonizzazione, ma vari tipi a seconda degli interessi dei diversi stati. La colonizzazione portoghese fu tra le peggiori; gli Inglesi si occupavano solo di ciò di cui avevano bisogno, e per il resto c’era indifferenza. I Belgi in Congo avevano instaurato una forma di apartheid: c’era una città per i bianchi e una per gli indigeni, termine usato in modo spregiativo, e in mezzo una zona neutra. C’era il coprifuoco per i congolesi, che non potevano girare per la città dopo le 17, e se sorpresi venivano bastonati; gli europei non potevano sposare donne congolesi.

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L’intervento del dott. Ngandu Mukendi

                                                         L’ AFRICA SUBSAHARIANA – POSTCOLONIALISMO

   Parlare di politica cultura società di un intero continente non è semplice
Il periodo della decolonizzazione è un periodo molto triste
Lo si pone a partire dagli anni 60, ma nell’Africa sub sahariana la lotta per l’indipendenza è iniziata subito dopo la seconda guerra mondiale.
Abbiamo cominciato a cercare l’uguaglianza (libertè egalitè fraternitè) e a lottare perché la fraternità venisse applicata anche a noi. Cercavamo di essere liberi
I paesi colonizzatori erano Inghilterra Francia Portogallo Belgio Germania e Italia , ma ad esempio tra la colonizzazione dell’Inghilterra e quella della Francia c’era una gran diversità. L’Inghilterra non era contraria all’autodeterminazione, se non comprometteva i suoi interessi, mentre la Francia mostrava tutto il suo paternalismo, e il Portogallo viveva molto più in comunità con la popolazione locale e l’istruzione era di basso livello per tutti. Le èlites si formavano nei paesi vicini (per es. in Tanzania, in Guinea Bissau, in Congo, in Senegal).
Quando la comunicazione e l’informazione è arrivata, gli Africani si sono svegliati, e questo è successo durante la colonizzazione Inglese, perché i Nigeriani o i Ganesi avevano studiato in Inghilterra ma anche in America. Nkrumah, presidente del Ghana, ha studiato in Inghilterra e in America, e ha cercato di svegliare le èlites africane.
Nelle ex colonie francesi Senghor ha creato il primo movimento degli studenti africani in Francia.
C’è una doppia politica per calmare gli animi. Nei paesi francofoni i leaders che sono tornati dopo gli studi hanno portato la liberazione. In Ghana, l’ex Costa d’Oro, già nel 1957 gli Inglesi danno l’autonomia, con la creazione del Mercato Comune, e nel 1960 l’indipendenza totale, dopo la conferenza panafricana con Nasser, Salassiè, Lumumba e Nyerere. Nel 1955 c’è la conferenza di Bandung con Selassiè, Nasser, Senghor, capeggiata da Tito ( i paesi non allineati).
La Francia cambia atteggiamento nel 1958: De Gaulle, a Brazaville, propone alle colonie o l’assimilazione alla Francia o l’indipendenza totale. Solo Sékou Tourè, della Guinea. chiede l’indipendenza e stampa una sua moneta . Siamo nel pieno della guerra fredda, e Sékou Tourè si rivolge all’URSS, mentre la Francia l’abbandona completamente: la sua economia crolla. Gli altri paesi non chiedono più l’indipendenza..
Negli anni 60 Francia, Inghilterra e poi anche il Belgio cedono l’indipendenza. Gli uomini che emergevano nei diversi paesi erano tutti politici preparati, che avevano studiato, e avevano chiaro che gli Africani dovevano rimanere uniti.. Nel 1963 l’Unità Africana funzionava, c’era una linea politica comune a difesa delle risorse naturali.
Ma i colonizzatori non potevano accettare queste posizioni, che contrastavano con i loro interessi.
Dopo il 1965 questi leader vengono messi in prigione o uccisi e sono sostituiti da militari, mediamente senza alcuna preparazione politica. Devono solo obbedire agli ordini.
Nell’Africa francofona (Senegal, Costa d’Avorio ad es) non ci sono Colpi di Stato, ma questo perché hanno un’autonomia solo apparente: in realtà fanno parte della comunità Francese in Africa. Nella Costa d’Avorio la residenza del Presidente è affittata dai Francesi, e l’assistenza militare francese in Senegal è vicino all’aereoporto, da dove possono fuggire facilmente in caso di disordini. I Senegalesi, si dice, si sentono più francesi dei francesi. La gestione è indiretta, il colonizzatore è sempre dietro e ha stabilito chi deve eseguire i suoi progetti. Questo è il periodo della “civilizzazione”.
Poi inizia la “decolonizzazione”: ai diversi paesi si dà “aiuto” o “assistenza” o “cooperazione”, e i paesi da “sottosviluppati” diventano in “via di sviluppo” o “paesi emergenti”.
In realtà non è cambiato niente: ci sono sempre dittature militari.
Negli anni ’90 è iniziata la così detta “democratizzazione”, con le elezioni. Ma chi le finanzia e come sono organizzate? Come si fa a partecipare a una campagna elettorale? Devi avere dei soldi da depositare a fondo perduto. Queste elezioni sono una falsità.
Con questi governi “eletti” tutto si deve pagare: mentre con i primi governi dopo la colonizzazione la scuola, la sanità era gratuita, adesso tutto si paga. I bambini, se le famiglie non possono pagare, non vanno a scuola, e rimangono sulle strade, e così se ci si ammala o si paga tutto, dalla siringa alla medicina alla visita, o si muore. Le infrastrutture non ci sono, le istituzioni non funzionano e la gente vive alla giornata. Sopravvive perché esiste ancora la solidarietà parentale. I politici non si occupano di politica ma dei loro interessi. E se, come ad esempio nel Cameroun, protesti, che tu sia giornalista insegnante o medico, vieni messo in prigione senza alcun processo.
Quale futuro? La speranza, la speranza che attraverso i mass media e persone della diaspora il popolo prenda consapevolezza e organizzi una lotta, di cui non si sa quali potranno essere i risultati nè quando darà i suoi frutti.
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Bibliografia

 

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Documentazione aggiuntiva: articolo tratto liMes, rivista di geopolitica italiana del dicembre 2015.

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SECONDO CICLO

 

                    AFRICA – VOCI DI DONNE 

 

3 Incontri coordinati con Marie Jeanne Balagizi, da programmare a partire da Ottobre 2017,
con la collaborazione del Centro Piemontese di Studi Africani e l’appoggio dell’Agenzia per lo
Sviluppo di San Salvario

Tematica : STORIA E CONDIZIONE ATTUALE DELLE DONNE AFRICANE IN ALCUNI STATI
SUB SAHARIANI ( Senegal – Mozambico – Congo )

  1. 3 ottobre, ore 17,00 – SENEGAL – dott.ssa Nelly Diop – Biblioteca civica Ginzburg , via Lombroso 16
  2. 17 ottobre, ore 16,30 – MOZAMBICO – Amilca Ismael , scrittrice – Biblioteca civica Ginzburg, via Lombroso 16
  3. 28 ottobre, ore 17,00 – CONGO – dott.ssa Marie Jeanne Balagizi e dott.ssa Marie Paule Kamwanga Mutoke – Casa del Quartiere, via Morgari 14

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SENEGAL

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MOZAMBICO

 

In Mozambico la non discriminazione di genere è iscritta nella costituzione.

   Sui 250 membri del Parlamento 98 sono donne. Ci sono donne alla testa dei ministeri e in posizioni di rilievo in molti settori.
Un codice di famiglia del 2004 sancisce il diritto al matrimonio consensuale, il diritto al divorzio, proibisce le pratiche discriminatorie contro le donne come la poligamia, sancisce un’età legale per il matrimonio (18 anni, 16 con il consenso dei genitori) e un trattamento appropriato delle vedove etc..
E’ del 2009 la legge sulla violenza domestica (che però subordina i procedimenti legali ad una generica ‘difesa della famiglia’).
L’aborto è consentito ma limitato a tre ospedali del paese e criminalizzato nella stragrande maggioranza dei casi.


Excursus storico:

   Storicamente l’emancipazione delle donne (o l’eguaglianza tra i sessi) è stato uno dei discorsi cardine della Frelimo (che si opponeva alla Renamo), tanto come movimento di liberazione nazionale quanto come partito politico al potere.
Questo egualitarismo di origine marxista – che rigetta il femminismo occidentale come borghese e considera la lotta per la liberazione delle donne una parte essenziale della lotta anti-regime – trova i suoi limini nel quotidiano delle donne mozambicane, comprese le antiche combattenti.
Molte donne hanno partecipato alla lotta di liberazione contro il regime portoghese dal 1962 al 1974. Queste donne continuano ad essere un simbolo forte del Mozambico tanto che l’Organizazione delle Donne Mozambicane festeggia la feste delle donne non l’8 marzo, ma il 7 aprile, giorno della morte di Josina Machel, compagna di Samora Machel eroe della Guerra di liberazione.
Durante la guerra le donne mozambicane svolgono gli stessi compiti degli uomini e conquistano, rinegoziandolo, uno spazio e uno status sociale nuovo e ‘deviante’ rispetto alle norme tradizionali. Molte, non fanno fatica a riconoscere che, traumatismi e violenze a parte, la guerra di liberazione e’ stata uno dei momenti migliori della loro vita.
Raccontano ad esempio con fierezza di quando mangiavano alla stessa tavola degli uomini (cosa impensabile nella vita dei villaggi) e di come uomini anche anziani ascoltassero le loro opinioni con interesse.
La fine della Guerra ha coinciso per queste donne con l’inizio di una vita ‘cittadina’ del tutto sconosciuta. Di colpo ci si aspettava che fossero mogli e madri (e non piu’ combattenti), compiti cui erano del tutto impreparate, tanto che il Partito prese ad organizzare corsi di cucina, cucito, pulizia della casa etc.
Le strutture patriarcali pre-guerra si impongono dunque nuovamente nel dopo-guerra e i rigidi ruoli sociali tornano a farla da padroni con le donne e le bambine relegate in casa e gli uomini e i bambini.

La condizione attuale

   Il quadro legale, come dicevo sopra, esiste, ma rimangono seri problemi di attuazione
Esiste infatti una forte scollatura fra la legislazione esistente e le istituzioni informali che determinano concretamente la possibilità di beneficiare dei diritti previsti dalla legge; questi problemi di attuazione sono particolarmente gravi per le donne.
I matrimoni al di sotto dell’età legalmente consentita sono, ad esempio, largamente diffusi. La poligamia pure. In media le donne hanno 5 figli.
Secondo l’Unicef (2016) una bambina su due si sposa prima di compiere 18 anni. Nelle province rurali del Nord sono il 55%. In genere le ragazze hanno il primo bambino 15 mesi dopo il matrimonio.
Il matrimonio in bassa età coincide poi con l’abbandono della scuola. Circa il 70% delle donne adulte nel Paese è analfabeta. Il governo investe nelle scuole, ma la sfida dopo l’educazione primaria sarà per quella secondaria, che è bassissima.

Lavoro agricolo

   L’agricoltura è la principale fonte di sostentamento e gran parte delle donne lavora in questo settore (93%, dato del 2015). È difficile però trovare dei dati che possano dare un quadro preciso della condizione lavorativa femminile perché la maggior parte lavora in nero per l’autoconsumo. Gli uomini preparano il terreno e partecipano alla fase del raccolto, mentre le donne svolgono le funzioni della semina e della piantagione, dell’estirpazione delle erbe infestanti e della irrigazione. Solo il 20% delle donne ha la possibilità di coltivare più di due ettari di terreno. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale del Lavoro le donne hanno molte più probabilità degli uomini di occupare un “posto vulnerabile”, caratterizzato da precarietà, bassi salari, rischio di povertà:

Accesso alla salute

   In Mozambico c’è un medico per ogni distretto con 50mila abitanti, ma quelli più popolati devono farcela con un dottore ogni 100mila. L’80% delle donne fa un solo controllo durante la gravidanza e nelle zone del nord più della metà partorisce senza supervisione medica, con rischi maggiori per la madre e il bambino. La condizione della salute materno-infantile e’

(Irene Amodei)

http://www.lemonde.fr/afrique/article/2015/04/17/au-mozambique-le-vendredi-c-est-le-jour-des-hommes_4618219_3212.html

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CONGO

La situazione della donna nella Repubblica Democratica del Congo
Breve excursus dall’epoca pre-coloniale ai nostri giorni.

1) Il ruolo della donna nei differenti regni e imperi del Congo.

A) Regni e imperi matriarcali ad Ovest (i casi dell’impero del Congo e dell’Impero Lunda) MP
B) Regni e impero patriarcali al’Est (il caso del regno del Bushi) MJ

2) Eredità della cultura precoloniale.

A) All’Onest (MP)
B) All’Est (MJ)

2) Uno sguardo sui movimenti femminili congolesi (MJ)

I movimenti femminili congolesi, grazie alla loro prossimità con le popolazioni, svolgono un ruolo fondamentale e determinante nella lotta per la promozione femminile e di genere. Essi permettono di intensificare il dialogo tra lo Stato e le popolazioni, attraverso i discorsi e la sensibilizzazione, la volgarizzazione e la conseguenza dell’applicazione effettiva dei testi giuridici nazionali e dei trattati internazionali sui diritti delle donne, come pure l’individuazione degli ostacoli che impediscono il pieno godimento di questi diritti.

Questa individuazione di detti ostacoli ha progressivamente preso coscienza del suo ruolo col passar del tempo e le sue azioni evolvono insieme al contesto politico, economico e socio-politico della RDC. Le sue configurazioni non sono sempre state le stesse, e possono essere comprese attraverso differenti forme nella traiettoria storica della RDC:

Prima del 1960, nel periodo coloniale emergono i movimenti sincretici e messianici in opposizione alla politica coloniale. Questi saranno trasmessi dalla giovane élite congolese alla vigilia dell’indipendenza. Oltre questi movimenti vanno notate associazioni civili non rivendicative a carattere culturale e tribale. Queste continuarono a esistere fino a dopo l’indipendenza, tra il 1960 e il 1965 e si trasformarono, soprattutto per quanto concerne le associazioni tribali, in partiti politici.

Sotto il regime dittatoriale di Mobutu, tra il 1965 ed il 1990, l’instaurazione del Movimento Popolare della Rivoluzione come partito unico portò all’ibernazione ed alla sottomissione delle associazioni ancora esistenti dopo l’indipendenza. Ogni congolese era membro del MPR e doveva, in quanto tale, obbedire all’ideologia unica del partito-stato. Si sviluppò una militanza di sostegno in questo periodo.

Il susseguirsi dei regimi repressivi e dei confitti armati, in cui hanno prevalso le ingiustizie storiche e le violazioni sistematiche dei diritti umani, l’incapacità dello stato a riassorbirle e ad assicurare ai popoli……………? Il godimento sostanziale della cittadinanza avvia l’alternativa non statuale di gestione della vita sociale.

I movimenti delle donne durante il periodo coloniale fino al 1965.

Una periodizzazione dell’evoluzione dei movimenti femminili nella RDC, dopo l’epoca coloniale, sarà l’occasione per porre in rilievo i momenti determinanti della loro partecipazione politica e certe sfide da affrontare oggigiorno.

Le donne hanno sfruttato il cambiamento del contesto politico postbellico per promuovere i loro diritti e per rendersi più visibili negli spazi di presa del potere, ma senza per altro aver raggiunto risultati soddisfacenti.

Le dinamiche sociali, economiche e politiche, tanto a livello nazionale che internazionale, hanno contribuito a mettere in rilievo e anche a constatare lo squilibrio di genere, nella misura in cui le logiche dello sviluppo insistevano già sul ruolo potenziale della donna come attrice, strumento e motore dello sviluppo, nella stessa misura dell’uomo.

Il disadattamento all’evoluzione globale, …………? l’internazionalizzazione del femminismo, ecc. hanno suscitato una presa di coscienza degli attori sociali e politici a livello nazionale, volti ad un processo di integrazione della donna in molteplici sfere della vita nazionale.

La presa di coscienza di una oppressione specifica sta al centro della lotta che le donne conducono nel mondo. Questa presa di coscienza ha permesso un inizio di riposizionamento della donna nei rapporti di genere.

Con l’evoluzione dei contesti le donne prendono coscienza della loro condizione e attraverso le associazioni tentano di lottare per conquistare i loro diritti in quanto “cittadini”. Esse si considerano, in queste condizioni, come primi forgiatori del loro proprio statuto e della loro dignità nella società.

Le azioni collettive, condotte spesso dall’esterno, non sono sufficienti ad assicurare pienamente la promozione delle donne. Esse sono sempre più coscienti che la vera emancipazione viene soprattutto dall’interno delle donne stesse.

All’alba dell’indipendenza lo statuto della donna è rimasto quasi identico a quello ante 1960. Era la perpetuazione di una società patriarcale, incui la gestione della cosa pubblica e delle strutture sociali veniva per lo più assicurata dall’uomo.

Le iniziative prese dalle donne hanno permesso in certi momenti la loro unione verso un ideale comune che è la promozione di genere. Soltanto le maggiori sfide hanno dato smalto alla lotta delle donne portando all’abbattimento di certi pilastri per una maggiore efficacia nell’azione.

La presa in carico delle donne in questo processo è evidente, perché, attraverso la loro presa di coscienza, si sono pensate diverse, hanno partecipato a fianco dello stato e delle organizzazioni internazionali, a ricostruire il genere e hanno attivato strategie perché le loro rivendicazioni venissero valorizzate.

Occorre ancora sottolineare che nella RDC certe iniziative erano state prese dalle donne, per la loro partecipazione politica, fin dall’epoca coloniale. Le donne hanno rivendicati i loro diritti ma non si sono viste rappresentate nei grandi avvenimenti del 1960.

Alcune associazioni femminili (Catherine Odimba-2009 :Storia delle associazioni femminili Congolesi, Kinshasa, CEP-UNIKIN, pg.23) hanno dato la loro impronta alla traiettoria storica dei movimenti femminili nella RDC.

– Donne ABAKO (FABAKO): era una sezione femminile del ABAKO. Fu fondata da Madame Julienne MBENGI nel 1958. Lo scopo proposto restava l’emancipazione della donna.

– L’Union National del Femmes Congolaise, fondata nel 1960 da Madame DJAMBO e presieduta da Madame Josephine SOLDE. I suoi obiettivi erano: promuovere l’intesa e l’unità tra le donne congolesi, mobilitare l’opinione, sviluppare il senso di comunità tra le congolesi, la formazione civica, patriottica, sociale e politica.

– Il Groupement pour l’Emancipation de la Femme Africaine (GEFA), creato nel 1958, dopo il congresso della donna africana a Lomé dal 15 al 18 Luglio 1958, diretto da Pauline LISANGA. Gli scopi erano: il controllo dei giovani delinquenti, l’aiuto agli anziani e agli orfani, la formazione delle donne all’azione politica.

– Il Mouvement des Femmes Nationalistes: è una sezione del Mouvement National Congolais, fondato nel Febbraio 1960 da Sonise KAPAMBA: promuoveva l’emancipazione della donna congolese. Nel 1964 le donne nazionaliste reclamarono la partecipazione della donna alle elezioni.

– l’Union Progressite Féminine Congolaise, creata a Leopoldville nel 1960 da Francine TSIMBA.

– Nel 1965 diverse associazioni femminili si sono raggruppate per formare l’Union Révolutionnaire des Femmes du Congo. Non durò molto a causa delle divergenze che sorsero tra le leader delle diverse associazioni. M.me Sophie KANZA fu incaricata di risolvere i conflitti di leadership e propose una base di unificazione che fu chiamata Union National des Femmes Congolaises, con lo scopo di promuovere l’educazione civica, cucito e alfabetizzazione.

La particolarità di questi movimenti consiste nel fatto che le congolesi erano in contatto con donne di altri paesi africani, più progredite rispetto a loro: soprattutto le donne togolesi, nigeriane e ghaniane. Essi sono serviti da quadri di preparazione politica per alcune donne che occuparono posti di responsabilità durante la seconda Repubblica.

3) La protezione della donna da parte della legislazione congolese (MJ)

Dopo la conquista dell’indipendenza, la RDC compì sforzi per offrire opportunità legali a uomini e donne per la loro protezione e sicurezza.

Per altro resta molto da fare per consentire alle donne di avere accesso in numero sufficiente agli spazi decisionali. Diseguaglianze di diritto, di opportunità e di sesso resistono tra uomo e donna e privano la RDC dell’utile contributo delle donne alla realizzazione degli obiettivi di sviluppo umano a lunga scadenza. La persistenza di queste diseguaglianze tra uomo e donna è rilevata in quasi tutti gli ambiti della vita nazionale, soprattutto in quello politico, sociale e culturale, diseguaglianze che ineluttabilmente comportano discrimini nazioni che compromettono un adeguato raggiungimento della parità uomo-donna.

A fronte di questa situazione, la Costituzione del 18 febbraio 2006, modificata e completata a quella data, consacra, nei suoi articoli 12 e 14, i principi di eguaglianza dei diritti, delle opportunità e di sesso.

La RDC ha ratificato diversi strumenti giuridici internazionali, regionali e sub-regionali, relativi ai diritti umani, e, in particolare:
– La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo;
– Il Protocollo e la Carta Africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, relativi ai diritti delle donne;
– La Convenzione dell’ONU sui diritti dell’infanzia;
– La convenzione sull’eliminazione di tutte le discriminazioni nei confronti della donna;
– Il Protocollo di accordo della SADC, sul genere lo sviluppo;
– La Risoluzione 1325 dell’ONU.

Questi strumenti giuridici proclamano tutti l’eguaglianza dei diritti tra l’uomo e la donna e garantiscono pure impegni per la RDC ad assumere misure legali ed amministrative per il godimento di questi diritti da parte della donna.
L’elaborazione della legge 15/013 del 1° agosto 2015, recanti modalità di attuazione dei diritti della donna e della parità tra sessi, è un’applicazione dell’Art. 14e della Costituzione. Essa ha rafforzato l’impegno dello Stato Congolese a costruire una società più giusta, in cui i comportamenti, le aspirazioni e le diverse necessità dell’uomo e della donna sono presi9 in considerazione.
Questa legge ha come scopo la promozione delle equità di genere dell’eguaglianza dei diritti, delle opportunità e di sesso in tutta la vita nazionale, soprattutto la partecipazione egualitaria dell’uomo e della donna nella gestione degli affari di stato.

4) La situazione attuale della donna nella RDC (MP)

 

5) Conclusione

Nei confronti delle incessanti guerre e delle violenze di ogni tipo di cui la donna e le giovani sono le prime vittime, il governo della RDC si è impegnato da più di una decina d’anni nella protezione dei diritti della donna. Accanto ai nuovi testi di legge promulgati, sono nate molte iniziative pubbliche o private per la lotta contro le violenze alle donne. In tutte le province i finanziatori, le chiese e la società civile hanno moltiplicato gli sforzi tendenti a ridurre le discriminazioni nei confronti delle donne.

Però: se per alcuni la situazione generale delle donne è evoluta timidamente, per altri, quando non è peggiorata, è purtroppo rimasta allo statu quo. Tre ipotesi possono giustificare questo stato di cose: sia che non siano state poste le giuste domande e dunque trattate a fondo, sia che le strategie utilizzate nei diversi casi non abbiano consentito visibili avanzamenti, diretti e palpabili nella vita delle donne più vulnerabili, sia ancora che gli impegni non siano stati che retorici.

In tale contesto, che fare per migliorare la condizione delle donna congolese in modo permanente?
L’educazione pone la problematica della gratuità, dell’accesso e soprattutto della qualità educativa, sia essa formale, non formale o ancora informale;
L’autonomia economica e l’integrazione comunitaria deve essere una priorità.
La sicurezza, la giustizia e la partecipazione politica della donna congolese deve essere nel programma del governo, ma la teoria dell’uovo e della gallina qui si pone: tra sicurezza e giustizia, cosa viene prima? Possono farsi valere entrambi contemporaneamente? E la giustizia di transizione? Le vittime delle ingiustizie di oggi non saranno i nuovi carnefici di domani?
Per quanto riguarda la partecipazione politica delle donne, le rivalità intestine tra donne, o anche la strumentalizzazione dell’immagine della donna politica, sia da parte degli uomini sia da parte delle altre donne, attraverso pregiudizi e pettegolezzi riguardanti la loro dignità,andrebbero ugualmente prese in considerazione.