NUOVE POVERTA’ – A cura di DONATA e CARLA TUOZZI
Relazione di Donata
Riflessioni su: Welfare – Reddito di inclusione – Modalità di intervento
Parlando di welfare mi rifaccio al sociologo Roberto Cardaci che sostiene la necessità di un cambiamento nel modello delle politiche di intervento che, invece di attivarsi solo in presenza di situazioni di estrema difficoltà, si occupi dei cittadini in modo continuativo.
Inoltre mi sembra costruttivo l’appello del direttore della Caritas, che si riferisce alla complessità che, in misura sempre maggiore, caratterizza i problemi da affrontare e per i quali si rende sempre più necessaria una visione globale, non settoriale e specialistica. Perché? Perché lo specialista tende a isolare il problema dal contesto in cui è sorto, mentre le situazioni complesse scaturiscono generalmente dal fallimento di diverse istituzioni quali la famiglia, la scuola, i contesti sociali e relazionali. L’esigenza quindi è quella della condivisione dei saperi, dell’attivazione di risorse e conoscenze, nonché forme di sostegno integrato.
Il Presidente dell’Ufficio Pio propone l’attivazione di un sistema di welfare che non sia più verticale, dove tutto deriva dal vertice e determina un’ assenza di risorse per tutti; ma un welfare orizzontale invece dove si individua nel privato sociale e nella cooperazione sociale il soggetto adatto a cooperare. Il contrasto della povertà, la cura del bene pubblico, è un compito che la Costituzione (art.118) affida a tutti i cittadini, in forma individuale e collettiva, sotto le direttive delle istituzioni pubbliche.
Parlando di welfare non si può non parlare di reddito di inclusione: quando sarà concretamente attivato?Mi rifaccio ad un articolo di “La Repubblica” di Chiara Saraceno (domenica16/4/2017). A fronte di un tasso di povertà assoluta molto cresciuto negli anni della crisi, a piccoli passi l’Italia si avvia ad avere finalmente un reddito minimo di garanzia. Il reddito di inclusione(Rei), definitivamente approvato per legge a marzo 2017 e confermato in questi giorni nel documento di programmazione finanziaria, da maggio dovrebbe sostituire il Sostegno per l’inclusione attiva (Sia),la misura sperimentale partita in tutti gli ambiti territoriali il settembre scorso. Per rafforzare il suo impegno, il Governo ha firmato un memorandum per sancire un patto stretto con l’Alleanza contro la povertà in Italia, il 14 Aprile a Palazzo Chigi. Un percorso lungo che ha permesso di dare inizio ad una fase che inaugura un nuovo modo di pensare l’intervento pubblico in tema di povertà. E’ un memorandum relativamente ai criteri che dovranno informare i decreti attuativi e il monitoraggio della misura su tutto il territorio nazionale, in modo da garantire omogeneità dei diritti e dei doveri a prescindere dal luogo di residenza. Ha così riconosciuto, all’Alleanza, un ruolo di interlocuzione, analogo a quello tradizionalmente riconosciuto alle parti sociali in materia di regolazione del mercato del lavoro. E’ un passo importante. Anche se è auspicabile che,accanto all’interlocuzione con l’Alleanza, il Governo rafforzi quella con gli Enti territoriali che, applicando concretamente la misura, possono vederne direttamente le criticità sul piano applicativo e dell’equità. Altre criticità. Non è chiaro se il reddito di inclusione sostituirà tutte le misure di sostegno economico oggi in essere./ E’ anche importante sottolineare che lo stesso importo massimo del Rei,definito nel memorandum in rapporto alla pensione sociale, non tiene conto che questa si riferisce ad una persona sola, non a famiglie di due o più componenti, i cui bisogni quindi vengono parecchio sottovalutati./ Circa lo strumento concreto che verrà utilizzato, non vi è nessuna indicazione: di nuovo una carta acquisti, quindi vincolata al consumo, o invece denaro, come avviene in tutti i paesi che hanno uno strumento di sostegno al reddito per i poveri e come è auspicabile, non solo al fine di riconoscere l’autonomia decisionale dei beneficiari, ma perché spesso la prima difficoltà di chi e’ in povertà riguarda il pagamento dell’affitto e delle bollette, non del cibo o di detersivi. Ora parliamo di fondi,.ci sono risorse importanti già indicate nel Def: complessivamente si parla di 1,18 miliardi per il 2017 e di 1,7 miliardi per il 2018 e, attingendo ai fondi Pon (Programma Operativo Nazionale inclusione 2014-2020 cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo), si arriverà a impegnare 2 miliardi di euro all’anno. L’obiettivo del Governo è di ampliare il numero dei beneficiari salendo dalle 400mila famiglie che attualmente percepiscono il Sostegno di inclusione attiva a quasi 600mila nuclei per un totale di 2 milioni di persone (e poco meno di 1 milione di minori) che corrisponde a quasi la metà degli italiani che si trovano in condizioni di difficoltà.
Nel welfare parlavamo della necessità di un cambiamento nel modello di intervento proprio per la caratterizzazione di un scenario di diffusione dell’impoverimento a cui e’ corrisposto un ulteriore taglio delle risorse pubbliche destinate a combattere questo fenomeno. Si tratta quindi di trovare un modo diverso di operare, delle modalità di intervento, per contrastare la povertà’ e attivare interventi meno caratterizzati da erogazioni di contributi economici e invece più orientati a politiche attive dove oltre a lavorare sul bisogno economico si operi cercando di creare relazioni e dove si agisca con un intervento mirato a promuovere l’assunzione di responsabilità da parte delle persone. Si interviene valorizzando e promuovendo le capacità dei soggetti in difficoltà. Si promuove l’interdipendenza, l’aiuto reciproco e la messa in campo ognuno delle proprie risorse; si tratta della sfida a cui oggi sono chiamati tutti gli operatori che si occupano di welfare. La collaborazione tra enti pubblici, privati e appartenenti al terzo settore permette di trovare risposte adeguate ed efficienti ai bisogni della popolazione proprio perché si attiva un lavoro di rete e in rete, dove ognuno mette in campo le proprie risorse.
Vorrei portare un esempio di utilizzo delle modalità di azione appena descritte; esporrendo la storia di una donna raccontatami da una laureanda assistente sociale, che ha svolto un tirocinio in una realtà di volontariato che segue persone in situazioni di povertà. Barbara è una donna di circa trent’anni, proveniente dalla Guinea, scappata dal sue Paese a causa della guerra civile e rifugiata politica in Italia. Al suo arrivo la donna è stata accolta, insieme ai suoi due bambini, presso una struttura di accoglienza privata. Nei mesi trascorsi in accoglienza, si è costruito con lei un percorso che potesse accompagnarla verso una maggiore autonomia. Barbara ha incominciato a lavorare per un’azienda che produce accessori femminili. Il lavoro precario e poco remunerato non le consentiva di sostenere le spese di un alloggio in completa autonomia. Inoltre come unico genitore, la donna necessitava di qualcuno che potesse aiutarla nell’accudimento dei bambini. Gli operatori hanno proposto alla donna di avviare una convivenza con un’ altra signora in condizioni di vulnerabilità. Hanno potuto vivere in un alloggio, messo a disposizione e a loro assegnato. La convivenza avrebbe permesso loro di aiutarsi reciprocamente: la mamma poteva recarsi al lavoro anche in caso di malattia dei bambini, grazie all’aiuto offerto della signora, mentre quest’ultima avrebbe goduto della compagnia di una famiglia, senza trovarsi da sola.
Si tratta di un esempio che mette in luce la promozione della cooperazione e di una cultura della solidarietà, nonché della connessione di risorse e bisogni in modo creativo e flessibile.
In conclusione e come sintesi,mi rifaccio ad alcune parole chiave di concretezza sul contrasto alla povertà, che hanno rappresentato un filo rosso nelle caratteristiche illustrate sulle modalità di intervento e nelle riflessioni sul welfare.
Diritti: riconoscere il diritto della dignità della persona che si traduce nel far sì che non sia assistita ma aiutata, supportata per migliorare la sua qualità di vita
Relazione: costruire relazione in cui le persone si sentano rispettate
Opportunità: cercare di creare nelle situazioni locali opportunità legate a necessità del territorio, al fine di mettere in piedi piccole occasioni di economia locale. Esempi di iniziative come: orti urbani – recupero di immobili inutilizzati per restituirli alle persone – creare piccole realtà di cittadinanza attiva
Includere: le persone che hanno difficoltà devono essere al centro d’attenzione dell’attività politica (vedi memorandum con l’Alleanza contro la povertà in Italia)
Accompagnare: promuovere l’assunzione di responsabilità da parte delle persone
Coinvolgere: promuovere una cultura della solidarietà e della condivisione
Il perchè di questo incontro
L’incontro nasce dall’esigenza di alcune di noi di approfondire il tema delle nuove povertà, proponendoci come obiettivo quello di dare un quadro generale su chi sono oggi i nuovi poveri, con alcune riflessioni sul welfare e sul reddito di inclusione ed entrare nel merito delle modalità di intervento e delle strategie concrete. Ci sembra per questo importante il contributo che ci daranno Alessandra Gallo che studia la povertà dal punto di vista femminile, e potremo ascoltare le testimonianze della Comunità di Sant’Egidio e dell’Associazione Opportunanda.
Bibliografia
C Saraceno, P. Dovis “Nuove povertà”, 2011
- Saraceno “Il lavoro non basta”, marzo 2015
- Revelli “Poveri noi”, 2010
Rapporto Caritas 2016
Tesi laureanda Corso di Laurea in Servizio sociale “Nuove povertà ed emergenza abitativa” Anno Acc. 2013 – 14
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Relazione di Carla Tuozzi
Si può dire che la povertà ,oggi, sia una delle principali malattie del paese,arrivando a minacciare un terzo degli italiani.
Alla profonda crisi economico finanziaria del 2008 fa seguito una recessione che si estende a livello globale La recessione colpisce in particolare l Italia che proviene già da un periodo di crescita stentata: l ‘istituto Nazionale di Ricerca afferma che, con riferimento al decennio precedente,lo sviluppo del paese è stato il peggiore tra i 27 dell ‘Unione Europea oltre che rispetto a Stati Uniti e Giappone.
E’ una crisi profonda che si è diffusa rapidamente ed ha prodotto un generale processo di impoverimento determinando un consistente peggioramento delle condizioni dell’occupazione e ampliando le fasce di popolazione in povertà assoluta e relativa. In tal senso i dati ISTAT sono eloquenti: 4.6 milioni sono gli individui in povertà assoluta (che si riferisce all’incapacità di acquisire un paniere di beni e servizi considerati essenziali per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile e che sono stati individuati in un’alimentazione adeguata, nella disponibilità di un’abitazione e nel minimo necessario per vestirsi,comunicare, informarsi, muoversi sul territorio, istruirsi e mantenersi in buona salute). Partendo dall’ipotesi che tali fabbisogni sono omogenei su tutto il territorio nazionale, l’ISTAT considera che i costi sono variabili nelle diverse zone del paese. Tenendo conto di queste variabili, le differenze possono essere forti. Ad esempio per un adulto ( tra 18 e 59 anni) che vive solo, la soglia di povertà assoluta è pari a 819.13 euro mensili se risiede in un’area metropolitana del Nord, a 734.74 euro se vive in un piccolo Comune settentrionale , a 552.39 euro se risiede in un piccolo Comune del Mezzogiorno. 1,582 milioni di famiglie sono le famiglie in povertà relativa (la cui stima si basa su una linea di povertà nota come International Standard of Poverty Line (ISPC) che definisce povera una famiglia di 2 componenti con una spesa per consumi inferiore od uguale alla spesa media per consumi pro-capite. Per definire la soglia di povertà relativa per famiglie di diversa ampliezza si utilizzano coefficienti correttivi che tengono conto dei differenti bisogni e delle economie che è possibile realizzare al variare del numero dei componenti). La soglia di povertà per una famiglia di due persone è risultata di 1050.95 euro. Le famiglie composte da due persone che hanno una spesa mensile pari o inferiore a tale valore vengono classificate povere.
In questo contesto di crescente precarietà occupazionale e di generale impoverimento conseguito alla crisi economica , si rilevano nuove categorie di poveri accanto a quelle tradizionali ( anziani. malati cronici, persone disabili e famiglie da sempre in carico ai servizi sociali) e ai poveri estremi (coloro che hanno perso tutto –lavoro, famiglia,casa ,relazioni familiari e le cui condizioni sono spesso aggravate da problemi di salute o altre condizioni difficili quali alcolismo, tossicodipendenza,problemi psichici e di criminalità. Spesso in questo gruppo rientrano anche gli stranieri irregolari e clandestini.
I GIOVANI
I dati rilevati ci dicono che dei 4 milioni 600mila individui in povertà assoluta , il 10,2 % sono i giovani tra i 18 e i 34 anni e l’8,1 % quelli tra i 35 e i 44 anni e scende via via fino al 4% tra gli ultra 65enni
La crisi economica,distruggendo posti di lavoro , ha capovolto la situazione di povertà che ,come abbiamo visto, è cresciuta nelle fasce giovani. In particolare vi è un’alta percentuale di giovani NEET , acronimo di Not (enagaged)in education, Employemente or Training. ,cioè di giovani che non studiano,non lavorano e non fanno formazione. Nei giovani di età tra i 15 e i 24 anni l’Italia è il paese dell’Unione Europea con il maggior numero di NEET. In questa situazione di estrema difficoltà i giovani o chiedono aiuto alla famiglia di origine per cui si assiste ad un fenomeno di chiusura nelle mura domestiche o posticipano la realizzazione di progetti di vita,come avere figli, con conseguenze sulla bassa natalità o fuggono all’estero. Soluzioni senza le quali i livelli di povertà giovanili sarebbero ancora più alti.
I BAMBINI E GLI ADOLESCENTI
Riprendendo e approfondendo il dato ISTAT sulla povertà relativa per l’anno 2016 e cioè il 1 milione582mila famiglie si evince che le famiglie più colpite sono quelle con 2 o più figli minori: è questo,a mio avviso, il dato più preoccupante perché significa che tra i soggetti colpiti dalla crisi ci sono i bambini e gli adolescenti. Sempre i dati ISTAT ci dicono che oggi 1 milione 100000 minori vivono in povertà assoluta, dato triplicato dal 2005 al 2015. Contrariamente alla povertà dei giovani maggiorenni che è diffusa in maniera abbastanza uniforme in tutta Italia, questa colpisce maggiormente le famiglie del Mezzogiorno mentre al Nord soprattutto quelle degli immigrati. Ma se per i minori la mancanza di reddito familiare o meglio la sua insufficienza è causa della povertà, il mero dato statistico economico non rileva anche tutte le conseguenze sociali che ne derivano. L’assenza di opportunità e stimoli ha forti ripercussioni sulla riuscita scolastica dei minori. In Italia la percentuale dei bambini e dei ragazzi che abbandonano precocemente gli studi supera la media europea (14.7 contro 11.00) con gravi conseguenze sulla futura società italiana.
WORKING POOR
Fino a un paio di decenni fa, l’espressione working poor sarebbe stata considerata un ossimoro (contraddizione in termini) ma ormai lavorare non è più un’assicurazione sulla vita; con la crisi economica questa certezza si è polverizzata. Si stima che il 4.8% dei lavoratori vive in una famiglia in povertà assoluta. Categorie di lavoratori regolarmente occupati si trovano in condizioni di povertà perché divisi tra salari da fame e contratti ad intermittenza. I più colpiti sono i giovani,gli stranieri, le donne. L’esistenza dei lavoratori poveri si può spiegare con cause diverse, legate all’evoluzione del mercato sul lavoro e ai cambiamenti istituzionali. Tra i fattori del mercato ci sono i cambiamenti tecnologici delle strutture produttive; i processi di delocalizzazione che, spostando le fasi della produzione a maggiore intensità di lavoro nei Paesi emergenti, caratterizzati da un basso costo di lavoro, hanno portato ad una compressione della crescita salariale soprattutto nel lavoro meno qualificato. Tra gli aspetti istituzionali rientrano le forme di flessibilizzazione del mercato del lavoro che hanno determinato spesso una riduzione della tutela dei lavoratori
ZONA GRIGIA
I sociologi nell’analisi delle nuove povertà hanno individuato le cd figure grigie per indicare le persone che hanno intrapreso anche percorsi di crescita sociale, dalla sottoscrizione di un mutuo alla nascita di un figlio e che oggi per un evento imprevisto si trovano, nel giro di pochissimo tempo, a ridimensionare drasticamente il proprio tenore di vita. Sono spesso persone dal profilo medio-alto, spesso laureate, abituate ad un buon tenore di vita improvvisamente esposte alla povertà nel momento in cui l’azienda chiude o fallisce o le mette in cassa integrazione. Spesso è la casa, simbolo della sicurezza per eccellenza ad affondarle. Queste persone vivono l’impoverimento come un vulnus ad un’immagine di decoro saldamente ancorata alla loro capacità di reddito e di consumo. Sono persone che non sanno a chi rivolgersi, non conoscono la rete degli aiuti e soprattutto rifiutano la possibilità di dovervi fare ricorso per timore della disapprovazione sociale. Oltre ai lavoratori dipendenti vi rientrano anche i piccoli imprenditori, i commercianti spesso indebitatisi dopo aver chiesto prestiti che non riescono a ripagare. Queste persone cadute in povertà spesso, dopo aver superato la vergogna del rivolgersi ai servizi sociali non trovano aiuto perché i loro redditi non sono così bassi da ricevere risposta perché le poche risorse economiche da parte dei servizi sono destinate a coloro che versano in povertà estrema.